Gli schemi corticali delle dita dipendono dai movimenti della mano

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 06 giugno 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La localizzazione somatotopica corticale secondo gli omuncoli motorio e sensitivo, pre- e post-centrale, definiti da Penfield e Rasmussen, ha condizionato a lungo il modo di concepire l’organizzazione senso-motoria del movimento, inducendo molti ricercatori a privilegiare un criterio analitico, ovvero di scomposizione in segmenti corporei sempre più piccoli, ciascuno con la sua localizzazione funzionale. Nonostante nozioni decisive emerse dalla ricerca di Mountcastle consentissero di comprendere un’organizzazione basata sull’integrazione di circuiti e sottoinsiemi di neuroni, e nonostante studi neurofunzionali, come quelli di Georgopoulos, avessero dimostrato che in termini neurali i repertori di movimenti si erano evoluti a partire da sintesi derivate dallo scopo di un’azione, si è continuato a misurare il volume della rappresentazione corticale di singole dita. Notissimi sono gli studi sull’Aoto, una scimmia del Nuovo Mondo, alla quale si faceva girare una ruota con due sole dita per lunghissimo tempo, per poi verificare che il campo somatotopico corticale per quelle dita si era espanso a discapito delle aree corrispondenti alle dita inattive.

Non che questa ottica di stretta localizzazione funzionale non sia stata utile, ma forse il progresso delle conoscenze è stato un po’ rallentato dal suo prevalere, alimentato dalla facilità di basarsi su un quadro teorico semplice e sicuro, contrapposto alla difficoltà di concepire esperimenti in un quadro di interazioni multiple e poco definite. Negli anni recenti la tendenza è andata poco a poco mutando. Non meraviglia che alcune fra le intuizioni e le scoperte di maggior rilievo, come quella dei neuroni specchio da parte del gruppo di lavoro di Giacomo Rizzolatti, siano venute da scuole, quale quella pisana risalente a Giuseppe Moruzzi, capaci di rapportare le unità studiate ai sistemi di appartenenza, secondo principi neurofisiologici radicati in una profonda cultura biologica.

Attualmente sappiamo che i movimenti fini della nostre dita, come quelli che ci consentono di introdurre nelle asole piccoli bottoni per abbottonarci la camicia o a tavola usare con destrezza le posate da pesce, sono controllati da una specifica attività di popolazioni neuroniche localizzate nell’area della mano della corteccia motoria primaria. In questo territorio corticale del lobo frontale si sono cercate le rappresentazioni dei movimenti che possono essere eseguiti da singole dita. Esperimenti condotti mediante microstimolazione e analisi elettrofisiologica della singola cellula nervosa, suggeriscono che nell’area della mano si rappresentino movimenti poliarticolari coordinati, piuttosto che escursioni spaziali del singolo dito. Le numerose verifiche sperimentali consentono di considerare tale nozione come una certezza; tuttavia, il principio in base al quale tali rappresentazioni sono organizzate non è stato ancora riconosciuto.

Naveed Ejaz, Masashi Hamada e Jörn Diedrichsen hanno condotto uno studio, avvalendosi della metodica della risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional resonance magnetic imaging), per analizzare i patterns di attività durante movimenti individuali delle singole dita. I risultati rivelano una realtà fisiologica veramente interessante (Ejaz N., et al., Hand use predicts the structure of representation in sensori motor cortex. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi:10.1038/nn.4038, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Institute of Cognitive Neuroscience, University College London, London (Regno Unito); Department of Neurology, University of Tokyo, Tokyo (Giappone).

La corteccia premotoria ventrale, incluse le aree F4 ed F5, proietta ai campi della mano e dell’arto superiore della corteccia motoria primaria, ossia al territorio corticale che contiene la più estesa e dettagliata rappresentazione dei movimenti della mano e delle singole dita. Esistono, infatti, altre aree motorie della corteccia che hanno fatto registrare rappresentazioni delle escursioni spaziali dell’estremità dell’arto superiore, ma la loro qualità di sede di popolazioni neuroniche che controllano i movimenti di mano e dita, al confronto con l’area già individuata da Penfield, non è proponibile.

Nella corteccia motoria primaria l’attività di alcuni neuroni associati alla mano si può mettere in rapporto più con lo scopo di un’azione finalizzata che con alcun movimento particolare, ma la maggioranza delle cellule nervose motorie presenti in questo territorio della corteccia frontale, è attiva durante movimenti delle dita o del polso in una vasta gamma di azioni, inclusi numerosi atti che consentono di afferrare e manipolare oggetti. Si ritiene che un impulso selettivo per la prensione, proveniente dalle aree premotorie, possa facilitare il reclutamento e l’organizzazione degli insiemi di neuroni distribuiti all’interno della mappa motoria e necessari a comporre l’insieme di volta in volta più adatto per la particolare conformazione dell’oggetto da afferrare.

Nella tipica situazione in cui prendiamo una tazzina di caffè, secondo il modello ricavato dagli esperimenti condotti da Giacomo Rizzolatti, i neuroni della corteccia parietale inferiore, specialmente nell’area anteriore intraparietale, cominciano a segnalare le affordances[1] della tazza, le quali sono associate a specifiche rappresentazioni di presa nella corteccia parietale e nella corteccia premotoria ventrale. Tale attività non è sufficiente ad avviare l’azione di prensione della mano. È necessario che diventino attive altre aree che controllano l’avvio dell’azione per consentire all’atto rappresentato nell’area F5 di entrare in esecuzione. Quando ciò si verifica, i neuroni di F5 attivano la corteccia motoria primaria che controlla i movimenti indipendenti delle dita della mano e, in particolare, i motoneuroni e gli interneuroni spinali implicati nell’apertura e chiusura della mano. Infine, quando le dita toccano il manico della tazzina, il feedback sensoriale fornisce le informazioni necessarie a realizzare e mantenere una presa stabile e sicura.

Come prima accennato, nell’area della mano individuata nella corteccia motoria primaria, è chiaro che sono rappresentati schemi di movimenti coordinati che implicano la partecipazione di più segmenti anatomici e delle articolazioni interposte, e non spostamenti di dita isolate, ma il principio organizzativo di queste rappresentazioni ha finora eluso la comprensione dei ricercatori. Nel tentativo di individuarlo, i tre autori dello studio qui recensito hanno analizzato mediante fMRI le configurazioni funzionali (pattern) di attività durante specifici movimenti delle dita.

Nel lavoro originale, il corredo iconografico aiuta a comprendere, mediante differenze visive ben evidenziate dall’elaborazione grafica, la significatività dei rilievi. Fra i partecipanti si riconosce bene la variabilità del layout spaziale nei patterns di attività “specifica per dito”, tanto che ciascun volontario mostra una sua “impronta digitale corticale” (cortical fingerprint). Tuttavia, è bene preservata una relativa similarità fra coppie di patterns di attività. Questa componente invariante o stabile dell’organizzazione non poteva essere riportata all’attività muscolare correlata ed era meglio spiegata dalla struttura di correlazione dei movimenti della mano tipici della vita di tutti i giorni. I ricercatori hanno poi verificato che questo rilievo poteva essere generalizzato anche ad un esperimento realizzato usando complessi movimenti di più dita.

In sintesi, dall’interpretazione degli esperimenti si evince che le rappresentazioni idiosincratiche sono soggette ad un principio di organizzazione invariante: la similarità fra due patterns di attivazione è strettamente modellata dal grado di frequenza del movimento congiunto delle due dita nella vita quotidiana.

Altri esperimenti hanno dimostrato che la struttura organizzativa correlava con configurazioni di movimenti di contrazione involontaria delle dita indotti con forza.

Il complesso dei dati emersi da questo studio, alla luce dei più recenti risultati della ricerca in questo campo, suggerisce che nella corteccia senso-motoria l’uso della mano modella l’aggiustamento relativo delle configurazioni dei movimenti specifici delle dita.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-06 giugno 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Per affordances si intendono i requisiti di un oggetto rilevanti per la nostra interazione con esso (v. G. Perrella, Appunti e note sulle basi neurali della realtà funzionale che concettualizziamo nei valori semantici della parola “mente”. BM&L, Firenze 2008).